LE CORRENTI CONVETTIVE
a cura di Gobbi Alberto
Le nubi convettive (temporalesche) sono le cosiddette nubi "a sviluppo verticale" e nascono quando una massa d'aria sale rapidamente e quasi verticalmente in quanto si trova ad essere più calda dell'aria circostante e quindi tende a sollevarsi verso l'alto. Infatti, una massa d'aria calda, immersa in una zona in cui l'aria ha temperatura più bassa, tende a salire verso l'alto a causa della spinta di Archimede o "spinta di galleggiamento", esattamente come sale una mongolfiera o come schizza verso l'alto una palla affondata in acqua e lasciata andare. Bisogna infatti tenere presente che il peso specifico della massa d'aria calda, quindi rarefatta, è minore del peso specifico dell'aria fredda circostante. Ciò significa che il suo peso è minore della spinta verso l'alto che essa riceve. La massa d'aria calda è quindi costretta a salire fintanto che essa non riesce a raggiungere zone dove l'aria circostante ha la sua stessa temperatura e quindi il suo stesso peso specifico.
L'ascesa di queste "bolle calde" (tecnicamente chiamate "termiche" o "celle convettive") si realizza con differenze di temperatura nella massa d'aria a contatto con il suolo; infatti il suolo non è omogeneo, per cui ci sono zone che rifletteranno più luce solare (maggior "albedo"), mentre altre ne assorbiranno la maggior parte. Le prime includono distese liquide o innevate, campi coltivati, foreste, mentre le città, i campi arati, i parcheggi e in genere tutte le superfici scure assorbono buona parte della radiazione incidente; questo è il motivo per cui nelle ben note "isole di calore" cittadine i temporali sono più frequenti ed intensi, mentre sono relativamente più rari vicino alle coste. L'eccesso di calore assorbito dalle superfici surriscaldate si propaga quindi verso l'alto, creando queste bolle che, distaccate dal suolo ad opera di venti anche molto deboli, inizialmente hanno un diametro di 50-100 m ma salendo trovano pressione minore e quindi si espandono senza interagire con l'aria circostante arrivando a 500 m di larghezza sui 1000-2000 m di altezza, dove la velocità di ascesa è già di 1-4 m/s (metri al secondo).
Questo fenomeno (massa calda che sale immersa nell'aria fredda) è tipico della goccia fredda in quota o di infiltrazioni di aria più fresca che scorrono sopra il cuscino caldo-umido della Pianura Padana, quindi in situazioni di instabilità atmosferica. Come detto, l'aria calda, essendo più leggera, sale di quota, si espande grazie alla minor pressione rispetto a quella del suolo e si raffredda. Fin quando non comincia la condensazione del vapore acqueo in goccioline di nube il raffreddamento di una massa d'aria in ascesa è sempre adiabatico (ossia senza scambio di calore con l'ambiente circostante, 1° principio della termodinamica), ciò perchè l'aria stessa ha scarse doti termiche di assorbimento e conduzione; per la precisione si parla di "raffreddamento adiabatico secco" (-1°C per ogni 100 m di salita).
Dal momento in cui il vapore contenuto nell'aria raggiunge la saturazione per il raffreddamento, il processo di ulteriore espansione e raffreddamento non può più essere considerato adiabatico secco, poichè il calore latente ceduto nel processo di condensazione (600 calorie per ogni grammo di vapore passato allo stato liquido) va in parte a riequilibrare la perdita di calore dovuta all'espansione, col risultato che da quel momento l'aria satura in ascesa si raffredda in misura minore; a questo punto si parlerà di "raffreddamento adiabatico saturo o pseudoadiabatico" che non sarà più di -1°C per ogni 100 m di salita, bensì (mediamente) di -0.5°C/100 m nei primi 5-6000 m di quota, per cui l'aria che sale nella nube sarà ulteriormente più calda di quella circostante (instabilità convettiva) e subirà un'ulteriore spinta ascensionale. E questo il motivo per cui il calore latente di condensazione è un robusto serbatoio di energia da fornire alla macchina temporalesca fornendo calore aggiuntivo in continuazione.
Evidenti condizioni di instabilità evidenziate dai moti convettivi interni al cumulonembo
Photograph courtesy Michael Bath and Jimmy Deguara Australian Severe Weather
www.australiasevereweather.com
L'instabilità è la tendenza delle particelle d'aria ad accelerare verso l'alto dopo essersi sollevate dall'originaria posizione: essa è un importantissimo fattore per lo sviluppo di forti temporali, per cui grande instabilità sottintende grande potenziale per lo sviluppo dei cumulonembi. Se ne deduce che più l'aria è umida maggiore è la sua instabilità: ciò trova applicazione nel fatto che il raffreddamento adiabatico (-1°C/100 m di quota) nei caldi pomeriggi estivi si verifica di norma nei primi 800-1500 m della troposfera, quindi in questo strato atmosferico il raffreddamento dell'aria circostante è maggiore di quello che si verifica nelle termiche. Infatti a quote maggiori la temperatura scende di 0,5-0,6°C ogni 100 m di salita, mentre la bolla d'aria continua a raffreddarsi di 1°C ogni 100 m: è evidente che ben presto scomparirà la spinta di galleggiamento all'interno della bolla, ma questo inconveniente, come detto, può essere risolto dall'elevato tasso di umidità proprio della massa d'aria in ascesa che non solo equilibrerà il raffreddamento da espansione ma riporterà la temperatura della bolla su valori superiori di 1-2°C rispetto a quelli dell'aria circostante: 1 grammo di vapore che condensa in 1 kg di aria è in grado di aumentarne la temperatura di 2,5°C!
Il livello di condensazione è chiaramente indicato dalla base piatta dei cumulonembi (Cb) o dei cumuli (Cu) che sono le nubi a sviluppo verticale per eccellenza: maggiore è il contenuto in umidità dell'aria, minore sarà la quota di condensazione.
Cb calvus con sommità bianca e base scura piatta molto evidente
Foto dell'autore (4 maggio 2002)Ad un maggior tasso igrometrico corrisponde inoltre un più elevato valore della temperatura di rugiada Td ("dew point"), che è quella temperatura fino alla quale occorre raffreddare, a pressione costante, una massa d'aria a temperatura T per portarla alla saturazione. Per cui un dew point molto vicino alla temperatura reale sottintende aria molto umida; quindi quanto più forte è il raffreddamento necessario (ovvero quanto più elevata è la differenza T-Td), tanto più la massa d'aria sarà secca. In estate valori di Td superiori a 22-23°C indicano che in loco l'aria contiene una quantità notevole di vapore. Infatti una massa d'aria che condensi a temperature superiori a 22°C contiene più di 17grv/kg (17 grammi di vapore/kg di aria umida), una quantità notevole che, in determinate condizioni, potrebbe fornire la materia prima necessaria per l'insorgere di temporali di forte intensità.
L'energia fornita dal calore latente di condensazione scalda ancor di più l'aria ascendente che accelera quindi il suo moto di salita raggiungendo velocità sempre più grandi man mano che sale verso quote più elevate: nei temporali più intensi si raggiungono anche i 30 m/s, ma solitamente le turbinose correnti ascendenti viaggiano a 6-8 m/s. Appare quindi evidente che la fase di sviluppo del cumulonembo risiede esclusivamente nell'attività delle correnti calde ascensionali. Rispetto alla nube, la termica parte da una zona al suolo spostata in avanti di 10-20 km nei confronti della direttrice seguita dal Cb e penetra all'interno dello stesso Cb con una direzione opposta a quella di spostamento del corpo nuvoloso e con un'inclinazione di circa 20° rispetto alla verticale. La nube allo stadio iniziale dello sviluppo avrà ancora un aspetto innocuo di un cumulo largo 2-3 km. Tuttavia, l'accelerazione delle correnti verticali dovuta alla condensazione origina un risucchio d'aria dall'ambiente, sia dai lati della nube sia da sotto la stessa base nuvolosa: questa corrente caldo-umida che "alimenta" dal basso la nube si chiama inflow ed è quella che poi diverrà la corrente ascensionale all'interno della nube, denominata updraft.
Cumulonembo ad incudine con torre dell'updraft nella parte centrale del sistema
Foto di Fabio GiordanoAd un certo punto l'updraft, una volta giunto a grandi quote (anche 12-13 km nella Pianura Padana), a causa del calore liberato nella fase di condensazione, si raffredda notevolmente, diventando così più pesante dell'aria circostante e precipita. Infatti una massa d'aria fredda, immersa in una zona dove l'aria è più calda, tende a scendere verso il basso perchè il suo peso specifico è maggiore della spinta verso l'alto che essa riceve: la massa d'aria quindi scende proprio come un sasso immerso nell'acqua: nascono così le correnti discendenti interne alla nube, denominate downdraft, all'interno delle quali l'aria è più secca; ne consegue che parte delle goccioline sopraffuse (cioè allo stato liquido pur in ambiente sottozero) in parte evaporano in quanto scendendo trovano strati d'aria sempre più caldi. Il fenomeno dell'evaporazione porta al raffreddamento della massa d'aria in cui si trovano queste goccioline: ecco quindi che l'aria fredda della corrente discendente si raffredda ancor di più, dato che essa fornisce il calore latente di evaporazione necessario perchè avvenga il passaggio di stato, e accelera così il suo moto di discesa raggiungendo le massime velocità proprio in prossimità del suolo, dove le correnti fredde si aprono a ventaglio propagandosi orizzontalmente in maniera turbinosa: questa è la corrente chiamata outflow che costituisce il gust front di un temporale, meglio conosciuto come "linea dei groppi" o "fronte delle raffiche".
Questo mini fronte freddo precede un cuneo di aria fredda con uno spessore che va da qualche centinaio di metri fino a 1 km circa e che solleva bruscamente laria calda che sta davanti alla stessa cellula temporalesca prolungandone generalmente la durata. Può accadere che l'aria calda preesistente al suolo sollevata dal gust front incontri nella fase di ascesa dell'altra aria fredda in quota (es. goccia fredda): la contemporanea presenza di aria fredda al suolo, che svolge azione di spinta, e di aria fredda in quota, che svolge azione di risucchio, può dare il via a fenomeni temporaleschi di rilevante intensità. Nei temporali più organizzati si possono avere raffiche di grande intensità con massimi anche di 100-130 km/h o più, alle quali spesso viene erroneamente attribuita la definizione di tornado o tromba daria.
Parte posteriore di una cella in allontanamento in cui è ben evidente la regione occupata dai downdrafts: si notino infatti la bande di precipitazione che partono dalla parte medio alta della nube e che impattano al suolo; c'è anche un fractus bianco a poche decine di metri dal terreno
Foto dell'autore (19 luglio 2001)Il groppo è un vento forte, violento e di breve durata (pochi minuti), accompagnato da brusche variazioni nella velocità e direzione del vento (wind shear) oltre che da grandine e rovesci: può provocare danni notevoli in quanto il colpo di vento tende ad essere improvviso e brusco, non dando quindi la possibilità di mettere in sicurezza oggetti non ben ancorati al suolo.
Si provi a far riferimento a questo disegno per meglio comprendere il significato dei suddetti termini. Tengo a precisare che si tratta solo di un modello, per cui la disposizione delle correnti va valutata caso per caso osservando dal vivo il temporale.
Modello semplificato: disposizione delle correnti agenti in un temporale che si muove da sinistra verso destra
L'updraft raggiunge la massima velocità ad un'altezza pari a circa i 2/3 di quella dell'intera nube, poi si attenua man mano che ci si avvicina alla sommità della nube, la quale assumerà una forma ad incudine: questa è una formazione nuvolosa bianca composta quasi esclusivamente da ghiaccio e costituente la parte più alta del cumulonembo temporalesco. La forma ad incudine si deve al fatto che le correnti calde hanno raggiunto il limite della troposfera (la tropopausa, oltre la quale si trova la stratosfera) e lì, dove la temperatura ricomincia a crescere, interrompono la propria corsa e divergono in senso orizzontale, motivo per cui si parla ancora di outflow. In questo sito, se non diversamente specificato, il termine "outflow" si riferirà esclusivamente alle correnti discendenti che divergono a livello del suolo. Inoltre i bordi dell'incudine vengono affilati dai forti venti in quota ed essa assume quindi un aspetto a punta, specialmente nel lato sottovento della stessa. La tropopausa può essere considerata come il limite inferiore di un'inversione termica permanente la quale, in talune circostanze, può essere sfondata da eccezionali correnti ascensionali come nel caso delle supercelle con la conseguente formazione di temporali particolarmente intensi.
Il cumulonembo raggiunge la fase di maturità quando origina un sistema di circolazione interna ben organizzato, costituito da calde correnti ascendenti (updrafts) e fredde correnti discendenti (downdrafts), oltre che da attivi inflow ed outflow. Questa è la classica cella temporalesca, o cella singola, ovvero la forma più semplice del temporale. Nello stadio di maturità le turbolenze sono molto intense: tra le zone di discendenza (downdraft) e ascendenza (updraft) ci sono sempre delle zone di transizione, per cui una zona di ascendenza ha nel suo contorno un velocità ascensionale molto inferiore a quella che esiste nel centro. Conseguentemente un aereo lento sarà accelerato verso l'alto abbastanza gradualmente, mentre un aereo veloce subirà un forte urto, poichè attraversa la zona di transizione in un tempo molto più breve. La turbolenza inoltre è ancora pericolosa all'esterno dei Cb e anche sotto la base a causa dell'alternarsi di outflow e inflow. Si è dimostrato altresì errato immaginare l'updraft dei Cb come una colonna d'aria del tutto regolare: si tratta invece di una serie di grosse bolle d'aria calda ascendente tra le quali vi sono vortici e discendenze. Questi movimenti si possono osservare a occhio nudo (meglio con un binocolo) come una sorta di "ribollimento" nelle protuberanze delle nubi cumuliformi. Alle medie latitudini il pericolo della turbolenza è maggiore tra i 4000 e i 6000 m; al di sotto dei 2000 m e oltre gli 8000 m l'intensità della turbolenza è dimezzata.
Il collasso della cella temporalesca avviene per l'esaurimento del flusso ascendente dovuto al fatto che nel corso dell'evoluzione le correnti discendenti che accompagnano le precipitazioni tendono ad occupare gran parte della cella stessa, determinando un calo termico notevole nei bassi strati associato ad un aumento della pressione. Inoltre la temperatura dell'aria in discesa dalla nube diviene inferiore a quella presente nella libera atmosfera alla stessa quota, con annullamento degli scarti termici positivi tra nube ed ambiente esterno. Le precipitazioni decrescono progressivamente per il graduale smorzarsi delle correnti ascendenti, determinando di riflesso anche un'attenuazione del flusso discendente. Si innesca perciò una serie di fenomeni concatenati che portano al collasso del sistema, con comune denominatore che risiede nel cessato apporto di correnti ascensionali (mancando le correnti ascensionali manca la condensazione e quindi anche il calore latente, "carburante" indispensabile per il sostentamento del sistema). E' comunque pacifico che l'aria fredda discendente dal Cb può formare un'altra cella temporalesca a poca distanza incuneandosi sotto l'aria calda che eventualmente troverà sul suo percorso, però la vecchia cella sarà ormai già morta, quindi la colpa della morte è delle correnti discendenti create dal temporale stesso.
DOWNBURST
Il downdraft è una colonna d'aria fredda a piccola scala che scende rapidamente dal cumulonembo verso il suolo e che di solito è accompagnata da rovesci temporaleschi. Il downburst altro non è che un forte downdraft, ovvero una colonna d'aria in rapida discesa che però incontra la superficie del suolo più o meno perpendicolarmente e che si espande orizzontalmente (divergenza) in tutte le direzioni. La violenta espansione, paragonabile ad un improvviso scoppio (burst), spesso produce un vortice rotante o un anello di vento entro il quale ci sono dei campi di vento (ravvicinati fra di loro) ad elevata velocità e di opposte direzioni.
Questa peculiarità del downburst giustifica il termine wind shear, ovvero la variazione di velocità ed intensità del vento con la quota (wind shear verticale) e con la distanza orizzontale (wind shear orizzontale): infatti la maggioranza dei pericolosi wind shear deriva dai downbursts. Guardiamo la seguente figura che mostra il ciclo di un downburst: la formazione consiste nel downdraft, originato dall'evaporazione e dalle precipitazioni; la fase di impatto vede una sensibile accelerazione del downdraft che sbatte violentemente sul terreno; infine, nella fase di dissoluzione il downburst si allontana dal punto di impatto (divergenza) accompagnato da venti assai mutevoli come direzione e intensità (wind shear).
Ciclo vitale di un downburst
I bursts in pratica sono causati dallo "scompenso" che si crea tra updraft e downdraft e nascono nella maggioranza dai casi da nubi cariche di pioggia, la cui temperatura è più bassa di quella dell'aria circostante. Questo gradiente termico induce pressione più alta nella nube che causa un flusso verso l'esterno per bilanciare la pressione: tale flusso può consistere in un downburst. Questi sono i classici wet downburst che si manifestano simultaneamente ai rovesci, il cui raggio d'azione è facilmente individuabile grazie alle bande di precipitazione di grandine o pioggia (rain curtain o hail curtain) in discesa dalla base del cumulonembo e che toccano il suolo.
Bande di pioggia che toccano terra (rain curtain): wet downburst
Photograph courtesy Michael Bath and Jimmy Deguara Australian Severe Weather
www.australiasevereweather.comBande di pioggia che toccano terra (rain curtain): wet downburst con accenno di shelf cloud
Photograph courtesy Michael Bath and Jimmy Deguara Australian Severe Weather
www.australiasevereweather.comEsistono però anche downburst "secchi" conosciuti come dry downburst: essi non sono ben individuabili come i precedenti, in quanto si manifestano solo con aria secca: al massimo saranno traditi da alcune virga (precipitazioni che prima di toccare il suolo evaporano in strati d'aria più secca) e dal sollevamento di polvere sul terreno. La probabilità che si verifichi un dry microburst può essere approssimativamente quantificata: una base alta del Cb sottintende scarsa umidità, quindi poche precipitazioni e forti downdraft; di conseguenza sale il rischio di downburst secchi. Se invece il Cb ha una base bassa, questo indica molta umidità, quindi abbondanti precipitazioni e deboli downdrafts: in tal caso sono molto più probabili i wet downburst rispetto ai dry microburst.
Virga con un piccolo arcobaleno: dry downburst
Photograph courtesy Michael Bath and Jimmy Deguara Australian Severe Weather
www.australiasevereweather.comI "temporali secchi" sono veramente molto rari nelle nostre zone e, anche se poche, producono comunque precipitazioni: dipende in che fase evolutiva si presenta il Cb sopra di noi. In questi casi osserveremo precipitazioni, sebbene scarse, solo nella fase di massima intensità in cui convivono i forti flussi di updraft e downdraft; in una qualunque fase evolutiva precedente o successiva si può avere assenza di precipitazioni. Il motivo è comunque da ricercare nell'aria eventualmente secca sottostante: in condizioni normali evapora il 40-50% della potenzialità precipitativa del Cb, e se l'aria sottostante è molto secca arriveremo a percentuali prossime all'80-90%.
Inoltre le particelle di precipitazione in discesa entrano in uno strato di nube (quello sottostante) in cui entra aria secca anche dall'ambiente circostante (questo perchè la corrente ascensionale aumenta d'intensità salendo di quota, creando quindi un risucchio laterale denominato "entrainement"), per cui l'evaporazione comincia già prima che le particelle in caduta si stacchino dalla base. Infine un certa perdita per evaporazione (ma minoritaria) è ascrivibile al riscaldamento delle particelle per attrito durante la caduta verso il suolo per cui le gocce più piccole tendono ad evaporare mentre quelle più grandi permangono.
Il downburst solitamente è più forte sul bordo avanzante (anteriore) della cella temporalesca o delle celle; gli "scoppi" di vento possono causare danni estesi alle strutture, tanto da poter essere facilmente confusi con i danni da tornado specialmente se il gust front include anche una nube molto scura e a forma di rullo (roll cloud) che potrebbe erroneamente far pensare alla presenza di una tromba d'aria (in questo sito non si farà alcuna distinzione tra tromba d'aria e tornado). Tuttavia i downbursts possono verificarsi anche con temporali non intensi o addirittura con rovesci non accompagnati da attività elettrica; inoltre il downburst produce venti a linea retta (frequenti nelle squall line e supercelle) i quali non sono accompagnati da moti rotatori e quindi non vanno confusi con i tornado.
I venti più forti generalmente nascono dal centro del temporale e questo avviene per due motivi:
- in un sistema rigenerante che mantiene elevata la sua intensità, i bursts di aria discendente accompagnano il collasso delle pulsazioni degli updrafts, i quali hanno iniziato a precipitare assumendo connotati da downdrafts.
- se un sistema subisce un improvviso e completo collasso, un'enorme quantità di precipitazioni sospese si getterà a "capofitto" sul terreno e ne risulterà un forte burst dovuto al potente downburts e all'irruenza dell'outflow. Ciò accade quando la pulsazione di un updraft particolarmente esteso matura dentro un'ampia cupola (anvil dome) la quale collasserà verso il basso partendo però dalla regione sovrastante l'updraft stesso; è il caso della pulse storm o del collasso di una supercella.
Danni da downburst
Essendo i downbursts venti a linea retta (all'incirca), la traccia dei detriti, rami, veicoli, pali della luce ecc punterà in una sola direzione e sarà molto discontinua ed irregolare, in quanto l'intensità di ogni burst (scoppio) varia molto come intensità. Per cui, se gli alberi o i pali della luce sono piegati verso E, vorrà dire che il downburst soffiava da W.
Peculiarità del downburst
1) divergenza
2) tracce larghe e diffuse
3) l'eventuale rotazione è lungo un asse orizzontale
Danni da tornado
Essendo i venti tornadici rotatori, la traccia dei detriti avrà alcune continuità: il tornado infatti è un progressivo evento che ha un inizio, una fine e vari gradi di intensità per cui ci sarà una fascia ristretta con danni gravissimi, mentre pochi metri più in là i danni saranno assai meno rilevanti. Anche la forma della traccia (detriti ecc) lasciata dal vortice è circolare come il vento tornadico.
Peculiarità del tornado
1) convergenza
2) tracce strette e ben definite
3) rotazione lungo un asse verticale
A seconda del loro raggio d'azione, i downbursts si dividono in 2 categorie: microburst e macroburst.
Microburst
Il microburst è un downburst in piccola scala in cui il vento divergente (radiale) interessa un'area orizzontale non più larga di 4 km. Spesso è più forte del macroburst e se è intenso persiste per 10 minuti con venti fino a 75 m/s (270 km/h). Il ciclo di vita di un microburst è di solito tra i 15 e i 20 minuti. Si trovano con maggior frequenza nelle aree temporalesche interessate da rovesci di pioggia e fulmini. In alcuni temporali particolarmente intensi si verificano più microburst e questo comporta che differenti regioni lungo il tragitto del temporale mostrano gli effetti dei vari microburst. I microbursts prevalgono nelle semplici celle convettive (celle singole).
Macroburst
Il macroburst è un downburst in larga scala in cui il vento divergente (radiale) si espande in orizzontale per oltre 4 km di larghezza. Può essere prodotto da più downdrafts e nei casi peggiori persistono per 30 minuti raggiungendo velocità di 60 m/s (215 km/h), ma solitamente si manifestano per 5 minuti. Un macroburst può contenere parecchi microburst i quali a loro volta contengono ulteriori bursts. Poichè questi bursts sono solitamente brevi in una determinata località, sarà molto difficile quantificare numericamente tutti i bursts. Comunque un bursts potrà esso stesso durare parecchie ore nel temporale, ma sarà in costante movimento. I macrobursts prevalgono nelle squall line in cui le celle temporalesche sono praticamente affiancate tra di loro, quindi i downbursts copriranno un'area molto più vasta rispetto alla cella singola.
Non tutti i micro/macro bursts causano venti estremi, ma alcuni di loro, come detto, sono in grado di causare danni simili o più gravi a quelli di un tornado.
INVERSIONE TERMICA
Un fattore che può favorire temporali molto intensi è la presenza di una cappa di inversione termica ai livelli medi della troposfera: si tratta di un sottile strato di aria calda che si interpone tra l'aria umida presente vicino al suolo e l'aria fredda e generalmente secca presente in alto.
Modello: inversione termica ai livelli medi
La strutturazione di un'inversione termica a quote medie è quasi sempre generata (tra 850 e 700 hPa in linea di massima) dall'iniezione di aria calda in prossimità di un fronte avanzante; tale flusso che di solito si osserva nel settore caldo della depressione può presentarsi con struttura laminare e di spessore non molto consistente ed è ascrivibile a possibili diversi scenari. Uno frequente sul nordest Italia si ha qualora negli strati bassi vi siano venti umidi da SE o ESE di origine marittima (Adriatico) a cui si sovrappone un flusso da SSW più caldo e secco di origine subtropicale nel quale il transito sulla catena appenninica abbia cagionato un sequestro igrometrico di un certo peso; ancora più in alto si ha infine l'avvezione ciclonica fredda (oltre i 700-600 hPa).
Ebbene finchè su tutta la colonna verticale non vi sono sollevamenti forzati abbiamo una situazione perlopiù stabile (l'aria calda e secca intermedia stabilizza lo strato come un coperchio sulla pentola), ma se per un qualsiasi motivo una notevole massa d'aria è obbligata a salire in queste condizioni (ascendenza frontale od orografica ad esempio), ecco che l'instabilità diviene notevole: ciò perchè l'aria umida sottostante raggiunge la saturazione prima di quella intermedia (diviene perciò più calda per la cessione di calore latente) determinando una forte spinta ascensionale su tutta la colonna (il coperchio viene fatto saltare dal basso). Lo strato freddo e secco superiore farà poi il resto; in poche parole si passa da uno stato quasi stabile ad uno estremamente instabile.
La stessa cosa accade (moltiplicata per 100) negli States allorquando vengono a convergere l'aria caldo umida nei bassi strati dal golfo del Messico, l'aria calda e secca continentale tipica delle grandi pianure sopra di essa, ed aria fredda e secca alle quote superiori; se in quelle condizioni transita un sistema frontale si ha l'esplosione di celle di inaudita violenza (supercelle che saranno devastanti se associata all'avvezione fredda in quota si ha l'ingresso della jet-stream - corrente a getto), poichè l'aria è "costretta" a salire lungo la superficie frontale.
I cumuli "perdono la testa" a causa di un'inversione alle quote medie che ne inibisce lo sviluppo
Courtesy Gene Moore www.chaseday.comSe l'inversione termica ai livelli medi è debole o assente i temporali tendono a formarsi rapidamente prima che il forte riscaldamento solare possa originare condizioni di elevata instabilità: i cumulonembi saranno generalmente deboli e disorganizzati, sempre che non sia in arrivo un fronte freddo o in quota non sia presente una goccia fredda in grado di attivare il risucchio di aria caldo umida dal basso.
Se l'inversione invece è forte i Cb possono non formarsi affatto: infatti le temperature molto elevate ai livelli medi possono letteralmente fungere da "coperchio", impedendo lo sviluppo degli updrafts oltre l'inversione. Si noti nella figura come le correnti ascensionali non riescano a superare l'invisibile barriera protettiva (l'aria calda ascendente, entrando in questo strato più caldo, diventa più fresca dell'aria circostante e non può salire per la scomparsa della spinta di galleggiamento), per cui gli eventuali Cb che si sono formati al di sotto dell'inversione potranno anche formare una modesta incudine (temperature permettendo), ma non raggiungeranno grandi altezze e quindi non saranno per nulla intensi.
Un'inversione moderata invece favorisce l'eventuale sviluppo di violenti temporali: la barriera termica (sia essa moderata o intensa) "conserva" l'instabilità atmosferica, in quanto l'aria sotto può continuare a scaldarsi e umidificarsi mentre quella sopra può sempre più raffreddarsi e seccarsi: ciascuno di questi due fenomeni incrementa il potenziale di instabilità (accumulo di calore latente sotto l'inversione, il quale non viene anticipatamente disperso da aria più fredda o secca). Quando si forma un cumulonembo, di solito nel tardo pomeriggio, alcuni dei più forti updrafts potranno "forare" la moderata inversione termica provocando così uno sviluppo esplosivo del temporale che potrà tranquillamente evolvere in supercella, specialmente se il wind shear è favorevole o se in quota è presente una jet stream.
Uno strato inversionale è di per sè molto stabile, ma se fattori sinottici sono in grado di alterarne la struttura si può trasformare in un profilo verticale molto favorevole all'innesco di fenomeni temporaleschi. I temporali derivanti dalla rottura dell'inversione non sono frequenti ma sono molto insidiosi, in quanto difficilmente prevedibili perchè non necessariamente collegati al transito di sistemi frontali o di gocce fredde in quota. Un aiuto potrebbe venire dall'analisi del radiosondaggio più recente che esamina il profilo verticale dell'atmosfera e dal quale si potrebbe individuare l'eventuale inversione termica ai livelli medi. Quindi tale inversione può favorire anche lo sviluppo di temporali a partire dallo stesso punto, poichè la rottura dell'inversione in quel settore corrisponde ad un'entrata "selettiva" dell'aria fredda: ciò è ben visibile dal satellite in cui si vedono i Cb svilupparsi ed estendersi sempre dallo stesso punto. La squall line prefrontale (linea di groppo) in alcuni casi può determinarsi anche nel modo appena visto.
TIPI DI TEMPORALI IN BASE ALLA GENESI
Come per l'innesco di una generica reazione è indispensabile la presenza del carburante ma anche della scintilla; nel nostro caso, il carburante è rappresentato dall'aria caldo-umida al suolo, la scintilla dai moti verticali e la reazione dalla formazione del temporale. I moti verticali, ovvero l'innesco del temporale, vengono usualmente distinti in 4 tipologie a cui corrispondono 4 tipi di temporali classificati, per l'appunto, in base alla rispettiva genesi.
A) Temporali frontali: a loro volta si originano in 3 modi.
A1) da fronte freddo: l'aria umida stagnante al suolo viene forzatamente sollevata verso l'alto dal cuneo di aria fredda che accompagna al suolo il passaggio di un fronte freddo, in modo tale che la massa d'aria viene posta nelle condizioni di liberare la propria instabilità mediante una rapida condensazione e conseguente cessione di calore latente. In questo caso ovviamente i temporali si possono formare in qualunque momento del giorno ed interessano vaste aree con maltempo e una sensibile diminuzione delle temperature. Questi temporali sono preceduti dalla ben nota atmosfera opprimente (afa) e da una diminuzione della pressione anche sensibile dovuta al sollevamento dell'aria caldo-umida, a cui segue dopo lo scatenarsi degli elementi pressione in brusca risalita e ottima visibilità per il rovesciamento dell'aria fredda, più pesante, dall'alto verso il basso.
A2) da fronte caldo: si generano quando la massa di aria calda ascendente la superficie del fronte caldo risulta instabile. In tal caso le cadute di pressione sono lente e graduali. In estate, più il fronte caldo è consistente (nuvolosità stratificata compatta) più è probabile che il fronte freddo successivo sia intenso per la sostenuta avvezione calda che segue il fronte caldo stesso. Allo stesso modo, se la temperatura al suolo dopo il passaggio del fronte caldo aumenta sensibilmente ci sarà da aspettarsi l'innesco di temporali prefrontali per il notevole gradiente termico venutosi ad originare. Se in coda al fronte caldo in allontanamento vediamo comparire nubi anche a debole sviluppo verticale significa che l'atmosfera è già potenzialmente molto instabile e saranno probabili temporali prefrontali.
A3) prefrontali: puntualizziamone i 5 aspetti principali.
a) si formano nel settore caldo di un sistema depressionario ben sviluppato dopo il transito del fronte caldo e prima dell'arrivo del fronte freddo: poichè nel settore caldo l'aria nei bassi strati è estremamente calda ed umida si rende disponibile una notevole quantità di energia sottoforma di calore sensibile da trasferire al sistema. Spesso i temporali prefrontali si organizzano lungo mesolinee (più spesso beta) che corrono parallelamente davanti al fronte freddo avanzante. Esse si muovono generalmente da W-SW verso E-NE. Questi temporali possono tuttavia assumere anche forma tondeggiante come si può vedere qui sotto.
Satellite IR del 9 agosto 2001: cluster prefrontale tra Veneto e Lombardia
b) in quota, tra le superfici isobariche di 700 e 500 hPa (tra 3000 e 6000 m), le cose vanno diversamente; a causa della presenza del sistema alpino (la maggior parte dei fronti freddi provengono dai quadranti nordoccidentali) l'aria fredda arriva prima in quota che al suolo perchè ostacolata dalla barriera orografica. Per cui si determina uno status che vede aria molto calda nei bassi strati ed avvezione fredda già in corso in quota, con la strutturazione di gradienti termici verticali assai consistenti.
c) se il fronte freddo è piuttosto vigoroso e veloce esercita un effetto "spinta" che non si limita soltanto al proprio spessore effettivo, ma dilaga alquanto davanti ad esso innescando di "riflesso" cumulogenesi molto avanzate.
d) se si forma un minimo depressionario su Valpadana (termico) avremo richiamo prefrontale di aria calda e umida dai quadranti meridionali (SSE-ESE-SE-S) in risalita su Alto Adriatico; tale flusso che spesso è ben evidente tra 700 hPa e 850 hPa prende il nome di conveyor belt e trasporta parallelamente al fronte freddo e davanti ad esso notevole quantità di moto, calore latente e calore sensibile, in modo da predisporre una significativa autoalimentazione alle celle in eventuale sviluppo. Il conveyor belt si può "intravedere" a volte come una fila di cumuli, stratocumuli o fractocumuli (a volte tutti e tre i tipi di nube insieme, dipende anche dal dew point, più è alto più bassa sarà la quota di condensazione delle nubi, fractocumuli in primis) piuttosto bassi che dal mare corrono veloci verso l'entroterra con avvento di aria molto umida a direzione SE-NW o affine.
Il conveyor belt lo si può immaginare come un fiume d'aria di larghezza di circa 100 km e di limitato spessore, ma con corrente molto forte (intorno 15-20 m/s): ebbene molti temporali prefrontali si formano proprio lungo questo fiume d'aria (che non sempre si attiva sia ben chiaro) seguendone il moto e conferendo alle celle temporalesche asse verticale obliquo (caratteristica determinante per lo sviluppo di forti temporali e grandinate). Se poi un conveyor belt è costretto a risalire una catena montuosa allora gli effetti saranno ulteriormente esaltati (es. alluvione di Genova del 23 settembre 1993).e) una volta partite le prime celle, esse tenderanno a figliarne delle nuove sempre nella stessa direzione del vento (linee temporalesche), in quanto dal momento in cui attivano correnti discendenti associate alle precipitazioni (downdrafts) si manifesta un processo detto retroazione dinamica: le correnti discendenti una volta raggiunta la superficie terrestre si trasformano in correnti orizzontali (outflow) il cui bordo avanzante (gust front) solleva nuova aria calda che, stanti le condizioni termodinamiche favorevoli, origina nuove celle.
Alcuni di questi aspetti sono propri anche dei fronti freddi veri e propri, ma la differenza sta nel fatto che nei bassi strati l'aria è più calda e più umida nel settore caldo che in prossimità del fronte freddo, specie nel pomeriggio (periodo giornaliero nel quale si innesca il 90% dei temporali prefrontali). Inoltre, nel caso dei temporali prefrontali, che si formano nel settore caldo, la pressione continua a scendere per motivi sinottici (fino a quando non giunge il fronte freddo la pressione continua a scendere) e tale calo non è bilanciato dall'aumento (dell'ordine di 1-3 hPa al massimo) pressorio indotto dai venti discendenti associati alle precipitazioni prefrontali.
I temporali prefrontali sono altresì molto pericolosi perché possono comparire dal nulla elevandosi dalla foschia e dall'afa presente inevitabilmente nei bassi strati: l'effetto sorpresa può non dare la possibilità di accorgersi in tempo utile di quanto sta avvenendo a pochi km da noi.
B) Temporali orografici: l'aria umida viene sospinta a ridosso dei rilievi dai venti dominanti, quindi la massa d'aria è costretta a sollevarsi forzatamente fino a liberare la propria instabilità a seguito del raffreddamento e conseguente condensazione. Nel caso del versante meridionale dei rilievi alpini, l'aria umida è trasportata da un'attiva circolazione meridionale in genere da SW e ovviamente di tipo ciclonico. Anche i temporali orografici possono avvenire in qualunque momento del giorno e in pratica derivano dall'effetto "stau", lo stesso fenomeno che in inverno produce nevicate sui versanti esteri delle Alpi con correnti tese da nord.
C) Temporali di calore: l'aria umida stagnante nelle pianure viene resa instabile nelle ore diurne dal riscaldamento solare e in tal modo l'aria inizia a salire spontaneamente verso l'alto soprattutto se alle quote superiori è presente anche solo una lieve saccatura o comunque una struttura anticiclonica molto blanda. Esiste un "range" entro il quale è favorito questo tipo di temporale: ciò si verifica quando l'eventuale campo anticiclonico al suolo non è caratterizzato da valori particolarmente elevati (all'incirca tra 1012 hPa e 1018 hPa); inoltre gocce fredde in quota, deboli infiltrazioni di aria fresca dalle vallate alpine o fresche correnti da W-NW accentueranno l'instabilità. L'evento si verifica in condizioni di alta pressione perchè solo questa garantisce che la massa d'aria, costretta a ristagnare in loco dalla scarsa circolazione, possa riscaldarsi e umidificarsi sufficientemente. I temporali di calore sono in ogni caso prerogativa delle aree di pianura, specie quelle interne e a ridosso dei rilievi, e si formano solo nelle ore calde della giornata e non durano più di un'ora portando solo un temporaneo refrigerio.
D) Temporali avvettivi: in questo caso l'innesco dei moti ascensionali è provocato dallo scorrimento di aria fredda su superfici calde; sono i tipici temporali delle zone costiere causati dal mare ancora caldo e che quindi sono più frequenti nelle ore notturne quando maggiore è il divario termico tra mare e terraferma.
Capita comunque spesso che al temporale contribuisca più di una delle cause succitate (es. un fronte freddo che passa nelle ore pomeridiane). Gli ultimi 3 tipi di temporali costituiscono i cosiddetti "temporali di massa d'aria" che si producono a causa dell'instabilità presente all'interno di una massa d'aria e che sono distinti dai temporali frontali.
TEMPORALI DAL LAGO DI GARDA
Il lago di Garda rappresenta un notevole serbatoio di aria molto umida arricchitasi di vapore acqueo nello stazionarvi sopra ed intrappolata in un contesto di aria molto calda circostante (la terraferma) tale da conferire alle celle temporalesche in formazione (siano esse di origine orografica o frontale) un notevole quantitativo di energia. Ne deriva che l'aria in salita durante la convezione può avere un dew point di partenza relativamente basso, ma che si innalza notevolmente allorchè comincia a venire pescata aria dal lago per umidificazione indotta. In tal modo, sebbene il gradiente termico verticale possa anche scendere di qualche punto per via dell'acqua più fredda della terraferma, aumenterà sensibilmente quello igrometrico (aria ugualmente fredda e secca in quota, ma più umida nei bassi strati) in grado di far salire per esempio l'indice di umidità (dew point).
Succede più o meno la stessa cosa quando sistemi temporaleschi provenienti dal basso Veneto passano sopra le Valli di Comacchio: la notevole quantità di aria umida disponibile ringiovanisce ed intensifica i sistemi stessi che poi sovente provocano notevoli danni nel ravennate settentrionale. Anche il fiume è in grado di intensificare gli effetti delle celle temporalesche (sebbene localmente) per apporto di aria molto umida dal basso; naturalmente ciò vale per corsi d'acqua di una certa estensione (Po, Adige ecc.) e non per i fiumi di piccola portata. Molte linee temporalesche se hanno moto parallelo al corso del fiume (nel caso del Po W-E) e vi possano rimanere per tempi sufficientemente lunghi nelle immediate vicinanze trarranno notevole energia dall'aria ivi stazionante.
TEMPORALI NELL'ENTROTERRA
I temporali nell'entroterra dipendono dalla climatologia a scala locale e a volte capita che prima di raggiungere il mare si indeboliscano col calare della sera o perchè in fase di collasso non arrivando così al litorale: ciò non dovrebbe succedere coi temporali ad innesco frontale i quali si possono formare a qualunque ora del giorno. L'unico aspetto che può influire sul fenomeno è che essendo la terraferma di giorno sensibilmente più calda del mare sarà lì che si formeranno di preferenza le celle, magari favorite dalla presenza di rilievi orografici: quindi, più che non arrivare, i temporali non si formano a distanze sufficientemente brevi da poter raggiungere la costa (a parte i fenomeni frontali), specie se, come capita sovente in assenza di linee frontali, le correnti in quota non sono sufficientemente intense.
Va detto anche che l'alimentazione daria calda dal basso è minore non solo sul mare, ma già a 5-10 km in linea d'aria dalla costa per cui lo sviluppo delle celle ne risente: non si formano nuove celle e sul mare possono arrivare solamente le vecchie di origine interna e capita che collassino prima di giungervi. Le influenze della brezza di mare sono alquanto limitate in tal senso, poichè le celle sono guidate dai venti nella medio-alta troposfera (level-guide intorno 6000 m di altezza) e, di certo, una debole brezza marina non può controvertire l'azione dei venti in quota che guidano i temporali. Infatti il flusso derivato dalla brezza è di piccolo spessore, esaurendosi già intorno a 1000 m di quota e arriva al massimo fino a 30 km di distanza dalla costa.
Casomai, per l'Adriatico, azione contrastante può derivare dall'ingresso da E o NE di venti secchi di origine continentale che hanno scarsa capacità igrometrica togliendo alimentazione al potenziale sviluppo delle celle e confinando effettivamente i temporali all'interno. Naturalmente tali venti svolgono questa azione solo dopo che in precedenza hanno invece innescato temporali frontali come i colpi di bora associati a fronti freddi dai quadranti settentrionali. Del resto è vero che il mare favorisce l'attività temporalesca notturna, ma solo per i sistemi che si sviluppano sopra le acque. E' altrettanto vero che l'aria umida generata dall'Adriatico, se portata da venti orientali al suolo, alimenta ed innesca attività temporalesca nell'entroterra anche nelle ore pomeridiane: poi se le correnti in quota sono occidentali vedremo i temporali provenire da W, ma l'alimentazione sottostante può anche essere di matrice orientale e quindi marittima. I temporali notturni che genera il mar Adriatico provengono quasi sempre da NNE-NE-ENE-E, ovvero quando le correnti in quota provengono da quelle direzioni ed il loro innesco primario avviene sopra le acque che in quel momento sono più calde dell'entroterra.
TEMPORALI NOTTURNI
I temporali notturni nascono nella maggior parte dei casi grazie alle correnti fredde che di notte scendono dalle valli alpine in Valpadana (mini fronte freddo): queste correnti sono rese fredde dall'irraggiamento notturno oppure dai temporali eventuali avvenuti nella sera sulle Alpi. Infatti verso sera i Cb che si sviluppano per cause orografiche sui rilievi alpini tendono ad indebolirsi e quindi a dissolversi; l'evaporazione dei cristalli di ghiaccio (incudine) e delle goccioline di nube (parte centrale) determina una diminuzione della temperatura alle relative quote cui sono poste le frange di tali nubi. Ne consegue che l'aria a quelle quote si raffredda: una parte di essa rimane in quota, sostenuta da eventuali correnti sinottiche presenti, mentre un'altra parte tende a scendere per gravità (la frazione più secca) verso i pendii e verso il suolo. Inoltre la sommità delle nubi cumuliformi in una determinata area (chiostra alpina) determina proprio per irraggiamento (le incudini funzionano da superficie radiante restituendo calore verso lo spazio) un calo termico superiore rispetto alle zone serene: è la stessa cosa che accade al suolo di notte.
Ci saranno quindi nuclei di aria più fredda in quota che di notte possono portarsi, se mosse da venti in quota favorevoli, in direzione della pianura pedealpina e padana settentrionale, dove al suolo agiranno i microfronti freddi in grado di determinare sollevamento termodinamico: aria più fredda anche in quota favorirà ulteriormente i moti verticali, con formazioni di nubi temporalesche notturne. L'intuizione la ebbe per primo (o tra i primi) il grande Giorgio Fea (uno dei padri della meteorologia italiana) cercando di capire come mai si formavano temporali notturni sulla pianura pedealpina anche in assenza di significativi passaggi frontali e, quasi di sicuro, centrò il bersaglio al primo colpo.
Se poi il temporale notturno è violento, allora significa che ha potuto usufruire di due favorevoli circostanze:
1) aria molto instabile: più l'aria è instabile più l'iniziale sollevamento dato dal cuneo di aria fredda disceso dalle valli si trasformerà in violenti moti ascensionali di tipo convettivo. Inoltre quanto più le velocità ascensionali sono elevate tanto maggiore sarà la quantità di vapore condensata nell'unità di tempo e quindi tanto maggiore sarà il calore latente immesso nella massa d'aria in ascesa, il cui moto verticale diviene così esplosivo. La forte instabilità serale o notturna può a sua volta essere la conseguenza della presenza di uno strato quasi adiabatico (in cui la temperatura con la quota può diminuire anche di 10°C/km invece dei classici 6,5°C/km) tra l'inversione notturna al suolo e i primi 1000 metri, come conseguenza di un forte soleggiamento diurno. All'instabilità può contribuire talvolta anche l'arrivo di aria più fresca in quota dal nord delle Alpi.
2) aria molto umida stagnante in Valpadana, in quanto essa è necessaria perchè la nube temporalesca possa crescere fino a notevoli altezze (12-14 km). Più la nube è alta, più sarà violenta (in vento, pioggia e grandine) perchè significa che gli updrafts sono così intensi che si sono spinti fino a tali quote facendo ingrossare oltre misura sia le gocce di pioggia sia cristalli di ghiaccio (che poi diventano grandine) nelle ripetute salite e discese dentro la nube.
I temporali notturni sono meno comuni di quelli giornalieri e gli indizi più importanti di cui disponiamo sono la progressione delle precipitazioni e i venti: essi serviranno per capire come si muove l'updraft principale. Un buon aiuto può giungere anche da una successione di fulmini che permetteranno di capire il movimento delle nubi sotto la base del Cb. Ad esempio, ogni lampo potrebbe far vedere i fractus in differenti posizioni: rammentandone le precedenti, si può ricostruire il movimento generale di questi fractus che magari stanno ruotando attorno ad una wall cloud. Un'estesa base dell'updraft sarà tradita dai lampi come una regione scura; se poi c'è un lowering questo non si farà attraversare dalla luce.
Invece i fulmini non permettono di distinguere con sufficiente chiarezza una wall cloud o lowering dalle bande di precipitazione: ipotizzando che sia giorno, ricordatevi che le rain curtain arrivano fino a terra, invece la wall cloud non tocca terra (eccetto se sviluppa un tornado); veloci e frequenti fulmini individuano il nucleo o il settore di una nuova cella in fase di sviluppo. Come per le ore di luce, se un vento da SE diventa calmo significa che ci troviamo sotto l'updraft; se inizia un vento da W-NW ci troviamo nell'outflow (nessun pericolo). Un forte vento che inizia poco prima delle precipitazioni costituisce solitamente una minaccia temporanea, poi il tutto si calma se non siamo in presenza di una supercella che potrebbe rivelarsi poco più tardi con una wall cloud.
In alcuni temporali è possibile udire un suono leggero ma scrosciante che può avanzare verso di noi oppure può mantenersi lontano: questo rumore è dovuto ai chicchi di grandine che colpiscono il suolo o che collidono tra loro in aria prima di toccare terra. Un suono non molto dissimile è quello del tornado specialmente se vi è coinvolto un debris cloud: tuttavia quest'ultimo è un caso piuttosto raro.